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Natale a Bergamo
By Bergamowalls
Che il Natale sia una festa tradizionale cattolica lo sappiamo tutti, ma sappiamo anche che ogni zona declina le tradizioni secondo la propria sensibilità. Così quello bergamasco ha punti in comune con le festività delle altre zone d’Italia, ma (soprattutto nel passato) aveva anche le sue peculiarità, tradizioni legate al territorio e al suo modo di vivere la festività.
Ma facciamo un passo indietro: da quando si festeggia il Natale?
Il 25 dicembre ricordiamo la nascita di Gesù in una capanna di Betlemme. Ma la tradizione di festeggiare quest’evento proprio il 25 dicembre, come spesso accade per le festività cristiane, nasce dopo l’inizio del culto cristiano. Anche il Natale infatti, nasce “cristianizzando” una festa tradizionale pagana.
Ne abbiamo parlato più volte, era qualcosa che capitava spesso: la Chiesa, per rendere più riconoscibili certe festività, le associava a feste pagane che avevano significati anche lontanamente simili.
Così per scoprire l’origine del Natale dobbiamo andare fino ai Celti che erano soliti festeggiare il solstizio d’inverno (per la precisione il 21 dicembre). Nello stesso periodo invece i Romani festeggiavano i Saturnali, i giorni in onore del dio Saturno, il dio dell’agricoltura: in questo periodo ci si scambiava doni per augurarsi un periodo di pace e di prosperità. Con l’imperatore Aureliano i Saturnali vennero sostituiti con la festa del Sole, cioè con il festeggiamento del giorno più breve dell’anno, il solstizio d’inverno.
Solo nel IV secolo papa Giulio I diede origine al Natale così come noi lo conosciamo: molte delle tradizioni che anche oggi rispettiamo (lo scambio dei doni, l’albero, il presepe…) non sono prettamente cristiane, ma hanno origini pagane e solo in un secondo momento hanno assunto un carattere religioso forte.
E nella Bergamasca?
Nella terra orobica il Natale ha sempre avuto il significato di tempo di pace e di prosperità.
Pensate addirittura che, nel Seicento, le leggi prevedevano che in questo periodo di tempo si accordasse una tregua anche ai criminali. Il detto: “A Natale vanno a casa perfino i banditi” non è soltanto una metafora per indicare il ritorno di tutti, proprio TUTTI, al focolare domestico, ma una vera e propria dichiarazione d’intenti. Pensate che, per esempio, il Podestà di Bergamo, che aveva giurisdizione civile e criminale sul territorio che governava, poteva decidere, proprio il giorno di Natale (così come a Pasqua e all’Assunzione) di concedere la libertà ad alcuni prigionieri, recandosi direttamente alla finestra della prigione per annunciare la liberazione di coloro che avevano ottenuto la grazia.
Ma ci sono riferimenti alla festività natalizia anche nei secoli precedenti al Seicento: negli Statuti cittadini del 1359 e del 1391 sono spiegati bene gli obblighi del Podestà proprio in occasione della Natività: doveva convocare le confraternite, i collegi e i paratici (cioè le associazioni di mercanti o di artigiani) per visitare, in processione, le principali chiese e far loro offerte. In questi esempi torna il tema del dono: quello della libertà per i banditi, quello delle offerte per le chiese più importanti.
Il Natale era quindi la festa per eccellenza dedicata alla famiglia, allo stare insieme. Nella Bergamasca era tradizione (così come in molti Paesi europei) per tutti i nuclei familiari bruciare nella notte di Natale un ceppo, un tronco di legno preferibilmente di ginepro, e raccogliersi intorno a quel falò per raccontarsi storie del passato, ma anche avventure del presente, di luoghi lontani ed esperienze incredibili, magari ascoltandole dalla voce dei parenti che lavoravano lontano da casa e che tornavano proprio per trascorrere la festività insieme.
Un’opportunità, insomma, per stare in famiglia. Faceva parte della tradizione anche andare alla messa notturna, partendo tutti insieme in processione - i ragazzini davanti, portando torce di legno e resina - e cenare insieme dopo la celebrazione (ol senù, ancora oggi, il cenone!).
Prima di andare a letto venivano raccolte le ceneri del ceppo, per essere utilizzate in occasioni future alla stregua di un talismano: era convinzione infatti che questo ceppo potesse avere poteri taumaturgici (praticamente magici), per esempio tenere lontana l’influenza dalle persone o le formiche dalla cucina. Era tradizione anche aspergere con dell’acqua raccolta a mezzanotte persone e animali, perché l’acqua raccolta a quell’ora, quella in cui si pensava fosse stato lavato il bambino Gesù, era benedetta.
Alla Natività erano legati anche alcuni prodigi: non sono rari i racconti di cespugli che improvvisamente, nel bel mezzo della notte, si riempivano di fiori. Secondo la tradizione anche nel giardino del monastero di Rosate proprio nella notte di Natale improvvisamente fiorivano le rose.
Un’usanza bellissima, e purtroppo perduta, era costituita dal ricco pranzo del giorno di Natale. Dopo aver partecipato alle tre messe della mattina, ci si riuniva tutti a tavola per un pranzo davvero ricco, anche per i più poveri. Era infatti usanza che ogni bottegaio regalasse a ogni famiglia qualcosa dalla propria bottega: il pizzicagnolo, colui cioè che vendeva generi alimentari, regalava una zampa di maiale (lo zampone!!!) con dei salsicciotti o dei cotechini. Il droghiere regalava mostarda o torrone, il fornaio la schiacciata e il vinaio…beh, il vino!
Nella seconda metà dell’Ottocento queste bellissime usanze erano già quasi scomparse: si iniziava a chiedere ai commercianti di donare non più prodotti del proprio lavoro, bensì somme di denaro in forma anonima. Inutile dire che la perdita di quest’uso, una sorta di redistribuzione della ricchezza ante litteram, costò cara ai cenoni dei ceti meno abbienti dei villaggi bergamaschi, e andò a vantaggio solo dei commercianti.
Canti, melodie e ninna nanne
Fanno parte della tradizione anche i canti, le melodie e le ninna nanne, a partire dalla “pastorella”, la melodia tradizionale, suonata dalla cornamusa, per ricordare il canto dei pastori che per primi ebbero l’opportunità di incontrare il Bambino appena nato.
Ci sono tante Ninna nanne legate a questo specifico evento: cortissime, ne esistevano innumerevoli, tutte diverse tra loro. A volte si trattava di semplici filastrocche a cui poi veniva associata una piccola melodia. Antonio Tiraboschi, nel 1878, ricordava queste:
O Bambi, Gesüi,
Pien di rose e pien di spi,
Pien di rose e pien di fior.
Si, l’è nato ol nost Signor,
L’è nassit in Betelèm,
Senza fassa e panisèl
De fassà quel Gesü bel.
°°°
La lüna, la lüna,
La lüna ’l sol;
Chi à creàt ol mondo
L’è stat ol nost Signùr.
La lüna, la lüna,
Ol Bambi ’n da cüna.
°°°
Canta, canta, Belafiür,
Che l’è nassit ol nos Signùr;
L’è nassit en Betalèm
En mès a ün bò e ün asinèl.
°°°
Bambì, o bambinelo,
Cosi vago e così belo,
Come siete d’un bel viso,
La beltà del Paradiso!
°°°
Sta nòte a mezanote
Si l'è nato un bel bambino,
Bianco, rosso e re divino:
Ècolo qua, braciàtelo sü
Il nostro caro bon Gesü.
°°°
Sta nòte a mezanote
Si l’è nato ü bel bambì
Bianco, rosso e rissolì.
La sua marna cósa la fava?
La stringeva i suoi magni.
°°°
Cito cito, non parlare,
Chè Gesü l’è a riposare;
L’è a riposare ’n d’öna capana,
Cito, chè Gesü ‘l farà la nana.
°°°
Bambin caro,
Bambin mio,
Vieni a nascer nel cor mio;
Bambin da me tanto amato,
Tutto freddo ed aggiassato.
E voi? ricordate qualche altra tradizione, filastrocca o ninna nanna?
Nella foto una scena de L’Albero degli zoccoli