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Le castagne, il pane dei poveri
By Bergamowalls
Nel periodo autunnale e invernale, le castagne hanno rappresentato per secoli una componente fondamentale dell’alimentazione contadina bergamasca, in particolare nelle medie valli, sotto i 900 metri di altitudine.
Fondamentali per l’alimentazione contadina….. e per quella dei “miserabili”, i poveri, che spesso e volentieri avevano la possibilità si raccogliere gli avanzi nei castagneti da frutto, o di fare una vera e propria raccolta in quelli abbandonati (pochi) o sotto gli alberi non potati o non innestati.
Una legge non scritta, ma di grande portata sociale, e che contribuiva a mantenere pulito dai ricci anche il frutteto abbandonato.
Nell’economia della nostra provincia, e nell’alimentazione di nostri antenati, le castagne erano irrinunciabili!
Pensate che già nel XVI secolo Fra Celestino da Bergamo parlava delle castagne e di come fossero il primo e fondamentale rimedio in caso di carestia del grano.
Dei monti bergamaschi “ardui e scoscesi, non però inutili” egli diceva: “Hanno copia di castagne assai, se ne và stagione; perciochè questo forte frutto sotto stà grandemente alla intemperie dell’aere, e in un tratto s’annebbia e corrompe: ma se ne và buon incontro, sono di grande sollevamento alla carestia del grano, e di grande aiuto al vivere dei poveri”
Un frutto fragile quindi, al quale bisognava dare grandissima attenzione, ma estremamente importante e fondamentale in caso di carestie del grano.
E la penuria del loro raccolto era spesso sintomo di mancanze più gravi… pensate che appena prima degli anni della grande peste del 1630, e in particolare a partire dall’autunno-inverno del 1628, vi era stata una grande scarsità di castagne e questo aveva fatto da preludio all’arrivo di una carestia… e della peste, appunto!
Ricordiamoci anche che erano oggetto di scambio, come vedremo anche dopo, quindi: niente castagne voleva dire niente da scambiare.
Abbiamo parlato del castagneto da frutto, distinguendolo da quello incolto. Oggi i secondi sono la maggioranza, ma un tempo non era così.
Il “casnìch” era condotto con la massima cura, il terreno era rastrellato e mantenuto libero dai rovi e dalle erbacce, dai polloni e dai rami secchi. Durante l’estate -nei terreni meno scoscesi- venivano a pascolarvi le mandrie di mucche, per mantenerlo pulito dalle erbe, e fertile. Era un ambiente adatto anche alla crescita del porcino, per il quale vi era un grande e ricchissimo mercato (un po’ come oggi)…
Insomma, il casnìch era tenuto ordinato e pulito come un vero e proprio giardino!
E in effetti, se pensiamo al valore che il frutto di quel duro lavoro doveva avere… Pensate che un sacco di castagne veniva comunemente scambiato per un sacco di farina di granoturco.
Nessuna tassa, nessun prezzo fisso, nessuno scambio di contanti o, come si vorrebbe ora, carte di credito: solo saggezza popolare.
Il frutto del lavoro nel castagneto diventava polenta per l’inverno e tra contadini di media montagna e contadini di pianura questo bastava per intendersi.
Ma perchè parliamo al passato, direte voi: se siete amanti delle passeggiate nei boschi, avrete notato che, di castagne, le nostre valli sono ancora piene.. ebbene, non è proprio così!
Sono certamente piene di castagni, ma le malattie e il continuo spopolamento delle valli, dagli anni ’60 ad oggi, ha ridotto e di molto la portata dei raccolti.
Qualche numero per rendercene conto.
Nel 1874 la produzione bergamasca di castagne era calcolata in circa 70 mila quintali. Nel 1914, le località di Albino e Vall’alta ne producevano, da sole, circa 20 quintali.
Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale se ne raccoglievano più di 44 mila quintali.
Negli anni ’90……. 2 mila quintali.
L’ultimo dato che abbiamo trovato, proveniente direttamente dal ministero delle Politiche Agricole e Forestali è del 2008 (ringrazieremo chiunque ci aiuti a trovarne di più recenti): tra il 1999 e il 2008 la produzione in tutta Lombardia è inferiore ai 7000 quintali.
UNA DRASTICA RIDUZIONE, NON TROVATE?
Inutile dire che l’unica cosa ad essere aumentata è….. il prezzo!
Ma torniamo ancora un attimo ad immergerci nella vita dei nostri antenati.
Proprio in questo periodo dell’anno avveniva il raccolto che normalmente veniva effettuato quando i frutti erano già caduti a terra. È per questo motivo che era fondamentale pulire molto bene il terreno sotto i castagni.
Quando la castagna era matura, i ricci si aprivano: i “gregna”, nella saggezza popolare!
Quando il riccio ride, la castagna è matura, ricordatevelo la prossima volta che trovate un riccio chiuso a terra!
I frutti, dicevamo, cadevano già a terra… ma non sempre i nostri saggi contadini, erano disposti ad aspettare così a lungo! E sapete perchè? Perchè il frutto, nel riccio, si conservava più fresco!
Capitava quindi di dividere il raccolto: una parte veniva raccolta battendo i rami con una pertica, e facendo cadere i ricci prima che si aprissero da soli, quando avevano appena cominciato a “ridere”. Venivano poi raccolti e conservati nella ricciaia, il risér: coperti da foglie e terra, conservati in un luogo controllabile e riparato da pioggia e vento, sotto un portico, una tettoia o a ridosso di un muro. In questo modo le castagne si mantenevano anche fino a natale e oltre…
Quelle raccolte fresche, invece, era uso metterle in acqua per un paio di giorni.
Fatelo, la prossima volta che le comprerete al supermercato (o meglio, andrete a raccoglierle nei boschi… qui sotto vi proviamo a dare qualche suggerimento): quelle marce o bacate galleggiano, e potete escluderle. Tutte le altre, però, devono poi essere fatte asciugare molto bene, e riposte in un contenitore che ne permetta la traspirazione. All’epoca era un classico sacco di juta (lo stesso che veniva scambiato per il sacco di granturco).
LO SAPEVATE CHE DI CASTAGNE NE ESISTEVANO MOLTISSIME VARIETÀ?
Ognuna di loro aveva tempi di raccolto, conservazione e utilizzo completamente diversi.
C’erano le ostàne (d’agosto), pronte a metà settembre: di medie dimensioni, le prime a giungere a maturazione, molto gustose ma di breve conservazione.
Le balestrère, molto diffuse e ideali per la conservazione nel risèr. Ideali per le caldarroste! Ideali per l’essicazione erano, e sono, invece le rossére, che si distinguono per la buccia rossiccia e il frutto più grande della media.
Le ultime castagne a maturare erano quelle meno fortunate per essere vendute al mercato, perchè arrivavano quando le piazze erano già sature e le famiglie avevano già acquistato per il proprio fabbisogno… ma l’ingegno dei nostri antenati non ha fine e proprio da qui nasce una tradizione bellissima!!
Parliamo del biligòc, castagne essicate e poi affumicate in un particolare e laborioso trattamento, che venivano vendute come dolce nelle feste e in particolare a partire dalla festa di Santa lucia!
Questa particolare preparazione affonda le sue radici nella notte dei tempi (la prima citazione certa del biligòcc è del 1490 e si trova in una poesia di Giovanni Bressani). La tradizione vuole che fu per primo un contadino di Poscante a sperimentare un procedimento di cottura che permettesse il consumo della castagna anche fuori stagione. Fece cuocere le castagne per circa due ore e le lasciò essiccare all’aria aperta per sette giorni e sette notti. Si dice che riuscì a mangiare castagne affumicate addirittura fino al periodo pasquale!
Non ci dilunghiamo oltre.
Vi lasciamo con qualche consiglio.
Quest’anno, invece di comprare le castagne, provate ad andare a raccoglierle! Soprattutto se avete bambini sarà davvero bellissimo e divertente.
Dove andare a raccogliere castagne a Bergamo?
Ovviamente in Castagneta, in particolare sul sentiero dei Vasi, e sulla Maresana!!
Scriveteci se conoscete qualche altro posticino, anche in provincia: sicuramente ci sono moltissimi posti, ma nn conoscendoli in prima persona non possiamo dire…
Aspettiamo i vostri suggerimenti!