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I carnevali alpini
By Bergamowalls
“Carnevale in filastrocca,
con la maschera sulla bocca,
con la maschera sugli occhi,
con le toppe sui ginocchi:
sono le toppe d’Arlecchino,
vestito di carta, poverino.
Pulcinella è grosso e bianco,
e Pierrot fa il saltimbanco.
Pantalon dei Bisognosi
“Colombina,” dice, “mi sposi?”
Gianduja lecca un cioccolatino
e non ne da niente a Meneghino,
mentre Gioppino col suo randello
mena botte a Stenterello.
Per fortuna il dottor Balanzone
gli fa una bella medicazione,
poi lo consola: “È Carnevale,
e ogni scherzo per oggi vale.”
Il Carnevale che conosciamo noi oggi è proprio quello descritto da Gianni Rodari nella filastrocca: mascherine, scherzi, coriandoli, giochi.
Una festa adatta a grandi e bambini, dove poter vestire i panni di qualcun altro anche solo per poco tempo. Ma non è sempre stato così, anzi. Una volta questi mascheramenti facevano parte di veri e propri riti, che celebravano la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera, e che venivano festeggiati in un altro periodo rispetto a quello a cui siamo abituati oggi. La festa tradizionale assumeva un valore apotropaico (serviva cioè ad allontanare o ad annullare un influsso magico maligno) e diventava un rito propiziatorio, raramente adatto ai più piccini.
Ma andiamo con ordine.
Oggi si festeggia il Carnevale in un periodo di tempo indissolubilmente legato alla Pasqua: la festa viene celebrata, infatti, fino al martedì grasso, il giorno antecedente al Mercoledì delle Ceneri. Ne segue la Quaresima, coi suoi 40 giorni di astinenza, e come vedete fin qui sembra che tutto fili molto liscio: un periodo di gioia sfrenata prima della cristianissima penitenza.
Ma il periodo delle celebrazioni non è sempre stato questo: anticamente veniva festeggiato prima, nelle cosiddette “calende di Gennaio”, quei dodici giorni che separano Natale dall’Epifania e che a livello folklorico hanno un significato del tutto speciale. Fino a poco tempo fa, la maggioranza degli studiosi era convinta dello stretto legame tra questa ricorrenza e i Saturnali romani: un ciclo di festività religiose, dedicate all’insediamento nel tempio del dio Saturno e alla mitica età dell’oro, che in epoca imperiale si svolgevano dal 17 al 23 dicembre. Oggi invece questa teoria non è più così tenuta in considerazione: le teorie più accreditate ci raccontano di cerimoniali di questo tipo praticati nell’antichità, ma slegati dalla tradizione romana.
Le fonti che ci raccontano questo tipo di attività sono quelle, per la maggior parte, contenute nelle omelie di scrittori ecclesiastici che raccontano di mascheramenti strutturati come cortei che si svolgevano, per l’appunto, intorno alle calende di gennaio. In queste occasioni ci si travestiva da animali, e la Natura la faceva da padrona. Con l’aiuto di maschere, di pitture facciali, di pelli e di stracci, prendevano vita in particolar modo alcuni animali simbolici, quali la capra, il toro, il cavallo e l’orso, ma non solo. Sull’arco alpino era molto diffusa, ad esempio, la rappresentazione del drago peloso, il basilisco, detto “basalisch”, o quella dell’homo selvadego, una figura umana pelosa e inselvatichita, detentore dei saperi dell’arte casearia e della conservazione dei cibi e delle carni, e di tutto ciò che rappresentava la capacità di sfruttamento armonico dei doni della natura. Estremamente ricorrente era anche il travestimento degli uomini in donna, e in generale la rappresentazione di un matrimonio dissacrante e, chiaramente, sterile. Nel complesso queste maschere rappresentavano l’anno nuovo e in questa prospettiva anche la famosa “Vecchia” può essere interpretata come personificazione femminile del ciclo dell’anno.
La festa del Carnevale alpino era molto importante per ogni comunità: al di là degli atti propiziatori che favorivano il risveglio della natura e la cacciata dell’inverno, i momenti comunitari favorivano la distensione di eventuali tensioni (pensate che spesso e volentieri venivano dissacrate in pubblica piazza le malefatte delle famiglie del paese, così da esorcizzare eventuali vendette o ripicche violente), agevolavano il divertimento e promuovevano rituali con sfondi sessuali molto poco nascosti!
Di questi antichi mascheramenti esistono ancora oggi dei continuatori a livello folklorico, anche nella Bergamasca. Per esempio, in Valle Brembana è significativa la presenza della maschera dell’asino, che un tempo aveva una funzione divinatoria. La maschera prendeva vita grazie a una persona che portava una testa di cavallo in legno e che si appoggiava a due bastoni che simulavano le zampe dell’animale. Ancora oggi questa maschera, persa la sua connotazione divinatoria, è una delle presenze fisse nelle mascherate di Dossena, rappresentazioni dal contenuto satirico in cui la figura dell’animale viene introdotta con svariati pretesti. Ma rituali veri e propri per la cacciata dell’inverno esistono anche ad Ardesio, in Val Seriana, dove ormai è molto popolare anche la Scasada del Zenerù.
La mascherata di Dossena
La mascherata è una farsa che riprende un tema caratteristico del carnevale: la rappresentazione della vicenda di una famiglia di montagna. La rappresentazione coinvolge generalmente un vecchio ubriacone (il vècc ciochetù) e una vecchia a cui fanno da contorno diversi personaggi: la figlia e il moroso, la morte, il diavolo, l’angelo, l’asino, il dottore, il notaio e il prete. Ai personaggi fissi se ne aggiungono sempre altri, di contorno, funzionali alla rappresentazione: c'è una maschera “narrativa”, che ha il compito di raccontare la trama dello spettacolo messo in scena; c'è un altro personaggio mascherato, che ha il compito di tenere libero il luogo della rappresentazione da possibili disturbatori, a volte proprio menando un bastone e allontanando chi chiacchiera…. in particolare questa figura è vestita normalmente con abiti rurali ed è definita lo Zanni… vi ricorda qualcosa?? C'è infine il bandì, un piccolo gruppo di strumentisti che accompagna la rappresentazione. Lo spettacolo si svolge la sera, all’aperto, per le vie del paese. Tra le caratteristiche fondamentali della mascherata c’è infatti quella che non è la gente ad andare a vedere la rappresentazione, ma è la rappresentazione ad andare tra la gente. Gli attori sono sempre uomini (e se è prevista qualche presenza femminile, allora gli uomini si mascherano da donna) e seguono un copione scritto per l’occasione, una traccia che ricalca modelli drammatici di varie epoche, ma riadattati all’attualità della vita di paese. Gli studiosi hanno intercettato la presenza di questa tradizione solo all’inizio del Novecento, grazie al ritrovamento di alcuni copioni, ma anche grazie alla presenza di una significativa tradizione orale.
La Scasada del Zenerù
Ad Ardesio è sentitissima la tradizione della Scasada del Zenerù, letteralmente la “cacciata di gennaione”. Nel paese della Valle Seriana, infatti, il 31 gennaio si scacciano il freddo e l’inverno con l’utilizzo dei campanacci: Zenerù, un fantoccio che di anno in anno ha fattezze diverse, viene portato per le vie del paese in un corteo chiassosissimo e viene poi bruciato nella piazza principale. La formula tradizionale prevede che la sera del 31 gennaio i giovani del paese uscissero dalle case “armati” di campanacci e oggetti rumorosi per scacciare l’inverno. A partecipare erano soprattutto i giovani, ma erano gli anziani a trasmettere il senso propiziatorio del rito. Prima del 1965 c’erano molti piccoli gruppi autonomi che uscivano di casa per questo rito nell’Alta Valle Seriana: senza una regia precisa i ragazzi percorrevano sentieri e raggiungevano le contrade tenendo i campanacci in mano, al collo, o direttamente appesi alla cintura, usando i collari delle vacche. Le donne non potevano prender parte alla tradizione, perché la loro presenza sarebbe stata considerata sconveniente. Verso gli anni Sessanta però la tradizione rischiava di scomparire, perché i giovani che la seguivano erano in numero sempre minore. La svolta nella storia di questo rito è rappresentata dalla scuola di Ardesio e dalle maestre che nel 1965 contattarono la Rai segnalando la particolarità di quanto accadeva nel borgo. Una troupe raggiunse il paese per immortalare l’avvenimento per la trasmissione “Cronache italiane”. In quell’occasione vennero apportate alcune innovazioni alla tradizione: l’introduzione del falò, per esempio, la personificazione di Zenerù in un fantoccio e anche l’idea di un corteo inizialmente fatto con i bambini del paese. L’effetto della presenza della Rai fu quello del rilancio della tradizione all’interno del paese. Con il passare degli anni il consenso e la partecipazione intorno alla Scasada sono cresciuti notevolmente: negli ultimi anni sono migliaia le persone che raggiungono Ardesio per celebrare questa tradizione.
La nostra storia del Carnevale finisce qui, ma non così la nostra curiosità e, speriamo, neanche la vostra… per cui vi lasciamo con una sfida!
Come ormai ben sapete se ci seguite da un po’ l’arrivo del Cristianesimo in città e nelle valli non riuscì a nascondere e far dimenticare alcune antiche tradizioni.. riuscì però sicuramente a modificarne alcune, e a far passare alcuni riti evidentemente pagani (il carnevale vi è sembrata una festa cattolica?) sotto il suo controllo…. così come alcune figure, ad esempio l’homo selvadego, spesso rappresentato come un santo eremita: Sant’Onofrio o Sant’Antonio Abate, o come San Cristoforo….
Adesso a voi la sfida! Riuscite a scoprire qualche homo selvadego rappresentato nelle chiese dei vostri paesi o in antichi affreschi? Noi vi sveliamo un segreto: ce n'è uno, meraviglioso, in bella vista nella Basilica di Santa maria Maggiore, in città alta…
Se lo trovate, mandateci una fotografia!
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